Riflessione sull’adozione

Questo bel post é stato pubblicato oggi dall’amica Monica Belli e ha risvegliato antichi ricordi. Circa 25 anni fa  fu adottato da una famiglia della mia città un ragazzo di 13 anni che subito fu inserito a scuola e per fortuna instaurò dei buoni rapporti coi suoi compagni. La famiglia, benestante, per  organizzazione propria ogni giorno pranzava al ristorante e la mamma si lamentava che al ragazzo non piacesse nulla della vasta scelta, a suo dire era tutto così buono  e lui schifava un po’ tutto, o almeno non mangiava pervaso dalla gioia anche se lei sapeva benissimo, perché aveva visto, che da dove proveniva mangiava ben peggio.  Dopo un po’ a scuola studiarono la diaspora e ai ragazzi fu chiesto di  scrivere un testo a tema da drammatizzare e l’insegnante si senti dire “..ma che cosa volete saperne voi della diaspora, voi che siete sempre stati qui o al massimo vi siete spostati di qualche centinaio di kilometri insieme alla vostra famiglia, IO so che cosa é la diaspora, che cosa é lasciare tutto quello che hai, tutto quello che conosci, tutto quello al quale sei affezionato e partire insieme a qualcuno che non conosci per posti che non conosci, senza quello che ha riempito le tue giornate finora, un amico o anche solo un giocattolo rotto, e tutti ti dicono che ora la tua vita é migliore!”. Sinceramente ho pensato per tanti anni a quella verità, almeno finché l’adozione non é andata a buon fine e il ragazzo é diventato un uomo di successo anche se molto instabile negli affetti.

Vi assicuro che se ogni volta che ho sentito una famiglia lamentarsi per le lungaggini burocratiche ho pensato che potesse avere ragione, parallelamente ho sempre pensato che le lungaggini burocratiche sarebbero state insignificanti al confronto del fatto di “essere adottati”.  Non dobbiamo pensare che noi che adottiamo o vorremmo adottare bambini dalla Bielorussia, e quindi bambini conosciuti, li conosciamo veramente: conosciamo dei bambini che sono con noi in vacanza, che hanno ben chiaro che debbono essere “carini” per raggiungere lo scopo finale, a cui concediamo tutto per essere a nostra volta “carini” ed essere accettati quali genitori. Quante volte ho sentito dei bambini dire “li chiamo mamma e papà perché me lo detto la Direttrice, ma mia mamma é un’altra”. Quando arrivano definitivamente e definitivamente sono nostri figli anche legalmente, comincia l’inserimento a scuola, cominciano le limitazioni, comincia lo sport e la relativa competizione (ultima cosa di cui hanno bisogno essendo stati in competizione con qualcuno fino a quel momento) e comincia la ribellione, sana ribellione se contenuta dentro ad un progetto di inserimento, ma spesso così non é: il bambino diventa subito cattivo, non riconosce i nostri sacrifici, non é grato per avergli dato la possibilità di una vita migliore. Quanti casi ci sono così? Quanti bambini aspettano la maggiore età per tornare al Paese d’origine? Purtroppo le statistiche non ci sono note, ma vi assicuro che i numeri non sono bassi. E allora si parla di fallimento dell’adozione, i genitori sono frustrati per non aver centrato l’obiettivo della “famiglia  mulino bianco”: niente di tutto ciò, fa tutto parte della vita vissuta i quando si scontrano abitudini diverse, credo diversi e da ambedue le parti c’é quel pizzico di egoismo di volere di più di ciò che l’altro può dare.

Non é neppure più semplice adottare dei ragazzi/e maggiorenni, li inseriamo in una famiglia con regole precise quando sono già uomini e donne e al loro Paese godono della massima autonomia, autonomia anche distruttiva, ma autonomia senza regole imposte. Consiglio sempre a chi pensa di adottare un maggiorenne,  fare un “periodo di prova” che parta da un visto di studio, nel giro di un anno o due sarà chiara la volontà di essere genitori e di essere figli oppure no, senza drammi : é la vita.   Da un’analisi approssimativa  sui beneficiari dei visti di studio mi risulta che circa un terzo non completa il corso e torna a casa oppure completa il corso ma dopo qualche anno e con qualche risparmio torna a casa; i risparmi si volatilizzano in fretta e resta il rimpianto dell’Italia, quando prima c’era il rimpianto della Bielorussia: é sempre l’isola che non c’é!

In ogni caso, a mio parere,  dobbiamo lottare per raggiungere il nostro scopo per dare una famiglia ad un bambino (non un bambino alla nostra famiglia, casomai anche un bambini alla nostra famiglia), ma dobbiamo essere consapevoli che c’é un prima e un dopo, che non necessariamente il dopo sarà migliore del prima, ed essere pronti ad accettare senza drammi quelli che non sono fallimenti ma casi della vita.

arena ricchi

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